L’agitazione universitaria e le vicende dell’Ateneo fiorentino

«Tribuna universitaria», giornale dell’Unione Nazionale Assistenti Universitari, Genova, a. I, n. 4, luglio 1961, p. 1.

L’AGITAZIONE UNIVERSITARIA E LE VICENDE DELL’ATENEO FIORENTINO

L’agitazione universitaria del mese scorso ha toccato i toni piú gravi nello svolgimento che essa ha avuto nell’Università di Firenze: ed è perciò dalla situazione fiorentina che prenderà avvio questo mio breve discorso.

Certo da tutta la situazione nazionale si possono trarre considerazioni circa la gravità della crisi universitaria e circa la volontà di vari settori universitari di agire energicamente per imporne una soluzione valida.

Sarà da porre in rilievo anzitutto la rinnovata dimostrazione dell’inefficienza governativa che non ha saputo o voluto trarre da un’agitazione cosí massiccia del mondo universitario la spinta ad una propria pronta azione di intervento positivo e ha preferito ricorrere a vaghe promesse e a proposte solo di miglioramenti parziali nel trattamento economico delle categorie degli insegnanti o rimandare ai beneficî dubbi e insufficienti del piano della scuola, gravato poi da quella intollerabile ipoteca del finanziamento alle scuole private che non costituirebbe solo una gravissima infrazione del dettato costituzionale, ma provocherebbe un ulteriore svuotamento delle provvidenze a favore della scuola pubblica e di quel suo importante settore che è l’Università.

E sarà d’altra parte da sottolineare lo scarsissimo peso che ha avuto l’A.N.P.U.R. ancora una volta limitata da una considerazione troppo settoriale degli interessi dei professori di ruolo e troppo poco sensibile ai propri doveri generali verso l’Università e verso le altre categorie degli insegnanti universitari (incaricati e assistenti) di cui, in certo modo, la categoria dei professori di ruolo dovrebbe sentirsi essa stessa consapevole rappresentante.

Mentre saranno da ascrivere all’aspetto positivo dell’agitazione il forte spicco che il problema universitario ha preso nell’opinione pubblica e, come già dicevo, l’intensità dell’impegno delle categorie piú direttamente interessate (incaricati e assistenti) e di alcuni gruppi di professori di ruolo; e soprattutto l’intervento deciso delle organizzazioni studentesche che hanno finito, in certi casi, per sopravanzare, quanto ad attività e quanto a ricchezza di implicazioni generali della loro azione, l’impegno di tutte le altre categorie universitarie.

Ma il caso dell’Università di Firenze ancor piú chiaramente si presta allo sviluppo di una diagnosi della situazione interna al mondo universitario che mi sembra essenziale per meglio capire la situazione di forza e di debolezza di un organismo che potrà rinnovarsi sí con riforme e stanziamenti di fondina parte dello Stato, ma dovrà offrire alle riforme forze attive e costume e mentalità adatti ad una nuova Università.

In tal senso risalta in primo piano l’avvenimento gravissimo della richiesta dell’intervento della polizia da parte delle autorità accademiche: richiesta che a sua volta chiama in causa tutto il comportamento del Senato accademico durante l’agitazione.

Il Senato accademico infatti, dopo un primo comunicato, in cui una platonica dichiarazione di solidarietà con le richieste degli incaricati era svuotata di ogni senso pratico dalla decisione che gli esami dovevano seguitare a svolgersi regolarmente (e come potevano svolgersi regolarmente quando lo sciopero degli incaricati metteva in crisi non solo le commissioni presiedute dagli incaricati, ma anche quelle di cui gli incaricati erano membri?), non accettava, nel loro giusto significato, né l’azione degli studenti che appoggiava l’azione degli incaricati e poi degli assistenti con una occupazione simbolica di alcune facoltà (che sottolineava cosí anche l’impossibilità di esami regolari, in una situazione non normale) né la presa di posizione di un gruppo di professori di ruolo della facoltà di Lettere (oltre al sottoscritto i professori Longhi, Natoli, Garin, Devoto, Perosa, Sestan, Luporini, Vasa, Pugliese-Carratelli) che decidevano di rinviare di una settimana l’inizio dei loro esami e che cosí indicavano una linea di condotta attiva e dignitosa, mentre essa, come azione degli studenti, venne considerata da parte delle autorità accademiche solo come causa di disordine e infrazione di disciplina (né mancò chi nel Senato accademico propose provvedimenti disciplinari contro quei professori).

E proprio quando gli studenti accettavano di sospendere l’occupazione di fronte alla proposta di una chiusura a tempo determinato dell’Università che suonasse adesione all’agitazione e riconoscimento di uno stato di fatto che doveva essere cosí sottolineato autorevolmente di fronte al governo e all’opinione pubblica, il Senato accademico interruppe le trattative con le organizzazioni studentesche ed emanò un nuovo comunicato, ai sensi del quale veniva condannata l’azione studentesca (di cui si disconosceva il carattere totale ed organizzato), veniva proclamata la chiusura dell’Università a tempo indeterminato (e dunque con valore punitivo), e i poteri del Senato venivano deferiti al Rettore, provvedimento assurdo con cui il Senato esautorava se stesso e addossava ogni responsabilità al Rettore.

Fu solo dopo quel comunicato che gli studenti decisero di occupare il Rettorato. Atto indubbiamente grave, ma a cui un diverso modo di intendere il governo dell’Università e il rapporto fra professori e studenti avrebbe risposto con nuove trattative e comunque con un intervento diretto dell’autorità accademica. Il Rettore preferí invece ricorrere alla polizia violando il principio secolare dell’autonomia universitaria, dimostrando l’incapacità dell’autogoverno universitario ed esponendo gli studenti ad una denuncia tuttora pendente all’autorità giudiziaria ed anche a peggiori possibili conseguenze specie partendo dal punto di vista del Senato che considerava l’azione studentesca come azione di gruppi isolati, e dunque irresponsabili, di studenti. Né, all’atto dell’ingresso della polizia nell’Università, si trovò presente il Rettore o qualsiasi altro membro del Senato accademico, con una mancanza di responsabilità che non può non essere condannata da chi condivida certe vecchie forme di un paternalismo che dovrebbe comunque essere gelosissimo della propria autorità.

Da tutto ciò si ricava un’amara constatazione circa un aspetto gravissimo della crisi universitaria: l’inefficienza e l’irresponsabilità delle autorità accademiche di alcune università, l’arretratezza della concezione autoritaria e poliziesca con cui si pensa ancora, in certi atenei, di governare l’Università.

Né qui si ferma la diagnosi di tale aspetto: ché in una successiva assemblea della sezione fiorentina dell’A.N.P.U.R. si manifestarono, da parte di alcuni professori di ruolo, tali posizioni autoritarie e antidemocratiche da farci domandare in quale tempo quei professori vivessero ed da farci ben capire come nel rinnovamento dell’Università vi sia anzitutto da cambiare tutta una mentalità legata all’orgoglio addirittura padronale della cattedra, e soprattutto ad una concezione del rapporto fra professori e studenti che è in netto contrasto con ogni forma di moderna pedagogia e con il costume democratico che dovrebbe ovviamente affermarsi prima di tutto nella scuola che prepara la classe dirigente del nostro paese. Si considerano gli studenti come elementi interamente passivi nella vita universitaria, si chiedono a loro solo lo studio e l’obbedienza, si nega o si deride la loro vita associativa e sindacale, si considera come negativo quel loro interesse ai problemi universitari che è il primo concreto esercizio dei loro doveri democratici e universitari.

Non è piacevole per un professore di ruolo dover denunciare simili tare della propria categoria, ma nessuna colleganza può coprire il profondo dissenso, culturale ed umano, che separa molti di noi da quei colleghi che esaltano il valore educativo degli interventi della polizia, che disconoscono i valori piú elementari dell’educazione universitaria e mostrano assolutamente di non capire gli studenti che hanno di fronte. E lo dico proprio in questo giornale sperando che dalla categoria degli assistenti, da cui molti saliranno alle cattedre, provengano professori diversi da quelli che costituiscono ancora una notevole parte del corpo accademico italiano. Naturalmente una parte, perché anche nella cronaca delle vicende fiorentine si sono ben manifestati altri tipi di professori ed anzi l’effettiva intesa di questi con i rappresentanti delle categorie degli incaricati e degli assistenti e con le organizzazioni studentesche è uno dei fatti piú positivi e promettenti emersi dall’agitazione del mese scorso.

Per quel che riguarda gli studenti la cronaca della vicenda fiorentina deve segnare un altro punto estremamente positivo e da tenere ben in conto per il rinnovamento dell’Università. Gli studenti hanno dato prova di serietà, di decisione, di maturità democratica e chi, come me, ha voluto assistere alle numerose e affollatissime assemblee studentesche dei giorni scorsi, ha potuto ben constatare il notevolissimo livello di preparazione degli studenti che intervennero nella discussione e il loro notevolissimo grado di consapevolezza dei problemi universitari e delle implicazioni di questi con i problemi generali del nostro paese. Si trattava inoltre di una unità articolata che escludeva non un generale riferimento a motivi etico-politici (e chi vorrebbe davvero degli studenti qualunquisti?) ma la presenza di una manovra partitica quale vollero individuare in tutta l’agitazione alcuni giornali di destra. Dall’U.G.I. all’Intesa, alla Libera Goliardia (e persino, nell’assemblea dopo l’occupazione dell’Università da parte della polizia, all’organizzazione di estrema destra che mostrò, almeno nel suo rappresentante, una singolare velleità democratica e riconobbe comunque la non partiticità dell’agitazione), tutte le organizzazioni studentesche parlarono un linguaggio insieme unitario e differenziato, molto interessante perché rivelava una forte maturità democratica e un fondo comune di persuasione su temi fondamentali quali la necessità di un rinnovamento dell’Università, la relazione fra questo e il rinnovamento democratico e sociale del paese, la relazione fra il problema universitario e quello generale scolastico, l’interesse dell’Università al problema e alla difesa della scuola pubblica. Studenti come quelli che ho sentito parlare in quelle assemblee sono davvero meritevoli di un’Università diversa da quella attuale e solo la comprensione delle loro esigenze può mettere in grado gli insegnanti di esercitare non inutilmente la loro attività didattica e scientifica, e può mettere le autorità accademiche in grado di governare l’Università senza ricorrere alla polizia e senza doversi trovare in opposizione con i propri colleghi e con i propri studenti.